Ipertensione, ischemia, infarto del miocardio e altri problemi rappresentano la principale causa di morte nella nostra società (OMS, 2015). Condurre una vita sana, non fumare, alimentarsi correttamente e fare attività fisica fanno parte di quelle buone abitudini che proteggono il nostro apparato cardiocircolatorio da possibili patologie. Nonostante questo non tutti sanno che esiste un altro elemento importante, e spesso trascurato, chiamato variabilità della frequenza cardiaca o HRV (Heart Rate Variability). Tale variabilità corrisponde alla capacità del cuore di essere elastico e è un indicatore del livello di salute cardiovascolare.
La scienza ci dice che chi ha un cuore sano ha meno probabilità di avere un infarto e di soffrire di malattie cardiovascolari. La variabilità della frequenza cardiaca, o HRV, si riferisce alla differenza tra la potenza minima e potenza massima della capacità del cuore di battere. Infatti, diversamente da quanto spesso si crede, i battiti del cuore non avvengono alla stessa distanza l’uno dall’altro, ma oscillano dall’essere più ravvicinati all’essere più distanzianti all’interno di un solo minuto (Lehrer, P., 2014).
Conoscere la propria HRV è fondamentale per determinare lo stato di salute non solo del cuore, ma di tutto l’organismo. La ricerca ha trovato diverse correlazioni: una bassa variabilità cardiaca può associarsi a scarsa performance sportiva, ai cosiddetti emotional disorders, come ansia e depressione, ad alti livelli di stress e tensione. Per tutti questi motivi, un training finalizzato ad aumentare l’HRV può essere davvero utile in diverse situazioni, dalla salute alla qualità della vita, dal lavoro allo sport.
Molte malattie cardiovascolari comportano non solo una disregolazione del sistema nervoso, ma possono accompagnarsi a sentimenti di paura e ansia dovuti alla sensazione di essere esposti a elevato rischio. Gli studi dimostrano che allenare l’HRV migliora i sintomi e qualità della vita nei pazienti con malattie cardiache, suggerendo l’effetto di rimodellamento del cuore in crisi (Nolan, R. et al., 2005). La capacità del cuore di essere elastico può essere e deve essere allenata, soprattutto in soggetti a rischio.
Allenare l’HRV è molto semplice ed è possibile iniziare fin da subito! Una delle metodologie più usate è il Biofeedback, ovvero una tecnica che avvalendosi di una strumentazione particolare permette alla persona di regolarizzare la funzionalità del sistema nervoso, tra cui anche la variabilità della frequenza cardiaca (Lehrer, P. M., 2007). Il biofeedback fa parte delle “Terapie di autoregolazione” in quanto implica lo svolgimento di esercizi finalizzati alla regolarizzare diversi parametri, tra cui attività respiratoria, cardiaca, vascolare e muscolo tensiva.
La normale funzione cardiovascolare è regolata dal sistema nervoso autonomo, più specificatamente dall’equilibrio tra input simpatici e parasimpatici al cuore e ai vasi sanguigni. In molte condizioni cardiache patologiche, come le aritmie, uno squilibrio tra questi due rami provoca manifestazioni della malattia e spesso ne contribuisce alla progressione. Il Biofeedback può essere paragonato a un “beta-bloccante fisiologico” grazie a una serie di esercizi, selezionati in base ai bisogni della persona, che consentono di ridurre l’attivazione del loro sistema nervoso autonomo e favorire una maggiore condizione di equilibrio cardiovascolare.
Alcuni dei primi studi sulla regolazione fisiologica attraverso il Biofeedback sono stati tentati in pazienti con anomalie cardiovascolari. Nel 1971, Weiss ed Engel hanno riportato con successo l’utilizzo di una particolare metodologia, chiamata condizionamento operante (alla base del funzionamento del Biofeedback), per la frequenza cardiaca in otto pazienti con contrazioni ventricolari premature. Tutti gli otto pazienti furono in grado di raggiungere un certo grado di controllo e cinque dei pazienti furono in grado di ridurre la frequenza dei battiti prematuri, dimostrando un maggiore successo in un periodo di follow-up di 21 mesi.
Diversi anni dopo, Pickering e Gorham portarono il il caso di una donna di 31 anni che aveva un ritmo parasistolico ventricolare. Usando una tecnica di Biofeedback, furono in grado di insegnare alla donna a controllare volontariamente la sua frequenza cardiaca, dimostrando che poteva sia aumentare che diminuire la frequenza, evitando gli intervalli in cui si verificava l’aritmia. Nello stesso anno, Benson et al. hanno dimostrato di poter insegnare ai pazienti la risposta al rilassamento e ridurre l’incidenza delle contrazioni ventricolari premature. Utilizzando i monitor Holter per la validazione, questi ricercatori hanno dimostrato che 4 settimane di allenamento per il rilassamento hanno portato 8 pazienti su 11 a essere in grado di controllare sufficientemente la frequenza cardiaca per avere un impatto terapeutico.
Queste prime verifiche hanno dato vita ad altri numerosi esperimenti. Oggi la misurazione e l’allenamento dell’HRV sono usati da medici, psicologi, sportivi e figure operanti nell’ambito della salute.
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Bibliografia
Lehrer, P. M., & Gevirtz, R. (2014). Heart rate variability biofeedback: how and why does it work?. Frontiers in psychology, 5, 756.
Lehrer, P. M. (2007). Biofeedback training to increase heart rate variability. Principles and practice of stress management, 3, 227-248.
Nolan, R. P., Kamath, M. V., Floras, J. S., Stanley, J., Pang, C., Picton, P., & Young, Q. R. (2005). Heart rate variability biofeedback as a behavioral neurocardiac intervention to enhance vagal heart rate control. American heart journal, 149(6), 1137-e1.